venerdì 30 novembre 2012

Il linguaggio dei morti

I morti parlano.
I napoletani lo sanno bene.
Hanno dedicato al morto che parla un intero numero della tombola, non a caso.
"Intero" nel senso che, a differenza di molti altri numeri, il 47 ha solo un significato, in tutte le varie versioni di tombola esso è sempre o muort che parla.
In realtà i morti comunicano, più che parlare, avendo essi finito tutte le parole di ogni vocabolario.
E' un errore tipico pensare che lo strumento principale per comunicare il proprio o l'altrui pensiero siano le parole.
Le parole sono, al massimo, delle mere prove indiziarie, quanto non proprio meri indizi, del pensiero.
Tornando alle parole che non ti diranno mai, i morti comunicano, mi dicono tutto di loro.
Basta poco.
Parla per loro, in primo luogo, la foto sulla lapide.
Es.: foto di donna ottantenne, vestita di nero integrale (quasi integralista), con rosario in una mano.
Con questa foto la donna ci dice che è vedova da molti anni (si vede il cotone liso sui gomiti) e che probabilmente è morta andando in Chiesa (o tornando dalla Chiesa, o nel periodo intercorrente tra una messa e l'altra).
Es. 2: foto di ragazzo in sella ad una moto. Con tale foto il ragazzone ci dice che tracannava la vita a canna, leccandone le gocce residue sul labbro, sulla barba, persino la condensa sul vetro, anche se poi, la vita, se l'è bevuta su quell'ultima, maledetta curva, troppo veloce, troppo tardi, lasciando così la bottiglia, per sempre, mezza vuota (o mezza piena, piena di vita non vissuta).
A Milano parlano meno, i morti, perchè per loro non parlano molto i parenti.
A Napoli i parenti dei morti, invece, comunicano molto.
Troppo.
Le parole le usano (a differenza dei morti) e non le finiscono mai, neppure quando chiudi per metà il cancello per far capire loro che, se non si vuol fare la fine di Totò nella Livella, è meglio che si sbrighino.
A Napoli, nel giorno di Pasquetta, ci sono parenti che, non sapendo proprio dove altro andare, e dovendo, d'altro canto, per forza di cose, fare una gita fuori porta, se ne vengono al camposanto a fare un pic-nic sulle aiuole ben tenute.
I cimiteri campani hanno sempre aiuole ben tenute, è un mistero locale.
A Natale più di uno, a Napoli, porta al proprio estinto un mini-albero di Natale, c'è persino chi porta il presepe, e poi lo attacca con una catena agli anelli metallici che sporgono da certe lapidi (c'è chi si fotte i fiori, i gioielli dei morti, i lumini, le lapide di marmo, figuriamoci se non ti fottono un presepe).
C'è anche chi ci si trasferisce per qualche giorno, al cimitero (da vivo), il tempo di farla passare alla moglie (a Natale, a Napoli, gli "sfollati" dalle moglie aumentano in modo esponenziale).
A Napoli c'è molta più vita in un cimitero che all'interno dell'organigramma aziendale di una multinazionale, tanto per dire.
E, col linguaggio dei morti, in un cimitero (soprattutto a Napoli), c'è da farsi venire il mal di testa.

lunedì 26 novembre 2012

L'alba dei vivi morenti

Immagino tutti voi sappiate, chi più chi per, il motivo per cui il beccamorto si chiama beccamorto e non, per esempio, scavafossa o sotterramorto.

Nel medioevo c'era la mala creanza di fingersi morti per non pagare i creditori, essendo da sempre, la morte, un ottimo metodo di estinzione delle obbligazioni.

 Per porre rimedio a tale piaga, le banche (maggiori vittime della suddetta malacreanza) mandavano un ispettore a controllare che il morto fosse morto a tempo indeterminato. 

Costui (intendo l'ispettore, non il morto, a meno che muoia un ispettore nel qual caso il termine "costui" diventa ambiguo), privo di ogni preparazione medica, non aveva miglior metodo per appurare il decesso che mordere con forza le dita dei piedi del defunto. Se ti mordono con forza un piede, a meno che tu sia morto, ti viene da urlare o, se sei muto, quantomeno da dimenare il piede o quantomeno il dito morso. I fachiri indiani sono una storia a parte, loro tutt'oggi riescono a fingersi morti e passarla liscia coi creditori, posto che il beccamorto non potrebbe indurli a tradirsi neppure mettendogli dei carboni ardenti sotto i piedi, né spuntoni di ferro sotto la schiena (i miei colleghi indiani le han provate proprio tutte).

È anche per questo che all'obitorio è rimasta tutt'oggi invalsa la tradizione di appendere agli alluci i cartellini indicativi dei defunti; perché i beccamorti medievali dopo aver "ispezionato" il cadavere apponevano il loro cartellino sull'alluce morso (da cui il codice morse, un codice composto originariamente da urli brevi o lunghi), cartellino che sanciva la morte di ogni debito (da cui anche la transazione "tombale").

Non tutti sanno, però, come mai le pompe funebri si chiamano "pompe" e non, che ne so, rubinetti.

Perché le prime donne beccamorti preferivano altre parti anatomiche da "ispezionare", e devo dire che la loro tecnica metteva in serie difficoltà anche i fachiri indiani. Puoi resistere ad un morso sul piede, ma...bè ci siamo capiti.

Avevo iniziato il post seriamente (per quanto un beccamorto come me possa mai esserlo) intenzionato a parlarvi dei vivi morenti che si affastellano su questa palla di roccia che gira più o meno a vuoto, ma la mia mente ha perso aderenza e ha deviato dal tracciato. Farò la convergenza e controllerò l'usura dei miei pneumatici mentali e tornerò a scrivere di quello che volevo scrivervi prima che, scrivendo questo post, scrivessi di tutt'altro.

domenica 25 novembre 2012

Ma che bella domenica

Sotterrare i vivi, quando sono morti, è un mestiere che ha i suoi lati positivi.

Il primo, e più evidente, è che i clienti non ti rompono quasi mai.

A parte le giovani vedove.

Quelle si, che rompono.

Ti chiamano se la bara pende, se perde o se gocciola, persino se si perde sono sempre lì pronte a far baccano.

Si, ne convengo, non dev'essere il massimo della vita sapere che la bara di tuo marito si è persa. Comprendo anche, quindi, il risentimento verso il beccamorto, che sarei io, responsabile dello smarrimento.

Ma chi non ha mai perso il portafogli, o le chiavi dell'auto, o che so io?

Bene, è più grave che voi perdiate il portafogli, rispetto a me che mi perdo una bara (ogni tanto, sarà capitato, che so, due volte su dieci). 

Voi col portafogli (che è vostro) ci vivete, ci pagate la spesa, le multe e la bagascia (che lo so che ce l'avete), ma io che volete che me ne faccia di una bara (che non è nemmeno mia) con dentro un morto?

La verità è che alle vedove sfugge un piccolo dettaglio della loro vedovanza: che il loro marito è fottuto, morto, andato, andalès.

Continuano a pretendere rispetto e massima cura del defunto marito, come se quello fosse rimasto impigliato in una riunione fino a tardi e fosse lì lì per rientrare da un momento all'altro.

Tutti andiamo a guardare gli steli d'erba da dietro le quinte, ma viviamo come se fossimo dotati di un'immortale immortalità.

E la verità è che io mi annoio fottutissimamente in questo mortorio di cimitero e, non avendo nulla da dire e nessuno cui dire nulla, ho deciso di aprire un blog.

Quindi vi dico arrivederci; lascio a voi decidere se volete vedermi qui sul blog o sul lavoro (grattatevi pure quanto vi pare, non mi pare abbia mai funzionato granchè, alla lunga).