giovedì 27 dicembre 2012

Babbo natale non esiste

Mancavano quattro giorni al tuo primo Natale.
Non avevi ancora imparato a camminare, che ti è toccato imparare a volare alto.
Troppo in alto perché i nostri umidi occhi potessero seguirti.
Nel nostro peregrinare su questa terra in direzione della felicità, ci eravamo fermati davanti ai tuoi occhioni blu, convinti di essere inaspettatamente arrivati a destinazione.
Ed invece era solo una breve tappa prima dell'inferno.
Vorrei poterti dire, nipotina mia, che esiste Babbo Natale, e che ti porterà doni fin lassù.
Vorrei poterti vedere vivere.
Vorrei vederti.
Vorrei stringerti forte.
Cullarti ancora una volta.
Dirti che non è niente.
Che tutto passa.
Vorrei squarciare il velo che avviluppa gli occhi di mamma e papà, e vedere cosa si acquatta dietro quel baratro.
Affacciarmi alla loro anima per spurgane tutto il dolore, lasciando solo il ricordo di quando e quanto, tutti, eravamo felici di te.

Che tu possa dormire in pace, amore mio.

Nel mio cuore sarai sempre sveglia, peró, a fissarmi stupita del mondo con quei tuoi occhioni blu.

mercoledì 12 dicembre 2012

La vita é una scatola

Lo diceva Forrest.
La vita?
La vita é una scatola di supposte.
Suppongo sia per questo che si dice prenderlo in quel posto, perché é sul posto, che in napoletano si dice supposto.
Ieri mentre aspettavo il cartone con la pizza (ma ci tenevo più alla pizza, sia chiaro, che al cartone) ho visto due amici seduti ad un tavolo.
Uno, il classico alternativo, così alternativo da essere assolutamente ordinario, tra gli alternativi.
Piercing dappertutto, lobi slabbrati, tatuaggi estesi.
L'altro il classico nerd informatico, felpone, scarpe sfigate, pantaloni multitasche.
Ciascuno di loro aveva due cellulari di fronte, di cui uno usato a piene mani per scrivere a chissà chi o chissà su quale social network.
Ho aspettato mezz'ora la pizza e non sono riuscito a sentire il suono della voce di nessuno dei due.
É paradossale che il telefonino, che é un mezzo di comunicazione, finisca per ammazzarla, la comunicazione.
Mi é venuto da chiedere anche come facessimo un tempo, a cena, a riempire gli spazi morti, le pause.
Forse parlavamo di più, pur parlando meno al telefono?

venerdì 7 dicembre 2012

Prova la mia braciola

Oggi tornando in auto dal paesello di A., sulle pendici del Vesuvio, mi-ti sintonizzo su una radio nazionale, non so più se Radio 105 o Virgin o Radio Italia (chiunque, come me, sia uso a viaggi che singolarmente eccedono i 500km sa bene perchè non lo ricordo).

Mi sintonizzo su questa radio irricordabile e ascolto una pubblicitá agghiacciante, credo dell'esselunga o della coop.

L'incipit è (con tanto di pausa molto significativa) una voce di donna che sembra ridere e che recita: "Prova la mia braciola".

Ho dovuto accostare l'auto per permettermi di spanzarmi dalle risate in sicurezza. In realtá anche perchè mi scappava la pipì, ma vabbè.

Sono tornato da A. ma in realtá oggi tornavo dall'infanzia.

Sono stato tre giorni immerso in quelle atmosfere, avendo dormito nella stessa stanza in cui ho dormito per i primi 23 anni della mia vita (stessi mobili, peraltro, ché mia madre pur essendosi spaccata la schiena 12hr al giorno, oggi vive della pensione sociale).

Mia madre tiene quella stanza come un reliquiario. Appese alle pareti ci sono ancora le mie cartoline, la mia carta del cielo con ancora lo stesso lembo in alto a sinistra pendente (scollatura del nastro adesivo), le mie stelle di plastica fluorescente incollate al soffitto a riprodurre le mie costellazioni preferite (leone, croce del sud, orione, anche se un astronomo serio mi sputerebbe in un occhio per averle messe insieme nello stesso soffitto/cielo).

Mi ha chiesto di non piangere quando se ne andrá, perchè lei mi conosce, e sa che quando piango piango forte davvero, e lei non vuole sentirmi piangere forte per lei.

Mia madre è da molti anni la mia eroina.

Ha attraversato l'inferno a piedi nudi preoccupandosi se le mie scarpette fossero allacciate e pulite.

Percepisce 300 euro scarsi di pensione ma ogni martedì porta del cibo alla mensa dei poveri e cucina per loro.

Ha sperimentato tutta la gamma di dolori umani: ha perso i genitori, un fratello, il marito (ancora vivo ma andato), la casa all'asta dai creditori, una gravidanza e persino un figlio in fasce.

Non l'ho mai vista piangere.

E della sua morte ciò che la preoccupa di più è quanto piangerò.

Io, se rinasco, voglio essere mia nonna, per menare vanto di aver dato al mondo una persona che l'avrebbe reso migliore, anche se in piccola parte.

L'altro ieri le ho evitato un processo penale per motivi che non sto a raccontare e lei mi ha guardato con profonda gratitudine e riconoscenza.

È stata, dopo la nascita di mia figlia, la più grande soddisfazione della mia vita.

mercoledì 5 dicembre 2012

Volevo fare il medico de' medici

Io non lo so come sono finito a sotterrare la gente.

Non penserete certo che da piccolo lo inserissi al primo posto nel classico tema "cosa vorresti fare da grande".

È vero che ho avuto sempre, come si suol dire, un bel pelo sullo stomaco.

Sarei stato capacissimo di prendere un passaggio da Caronte, se solo questi fosse andato nella mia  direzione.

Sognavo, però, di fare il pilota automatico.

Pilota, perché ho sempre amato la velocità e, si sa, gli aerei sono tra i veicoli più veloci al mondo, se si escludono i satelliti e le sonde (ma quelle viaggiano fuori del mondo) e, ovviamente, se si escludono gli interessi bancari.

Automatico, perché sono fraccomodo e non amo le grandi responsabilità.

Solo che mio padre non ha mai creduto in me, tanto che spesso mi chiamava Babbo Natale, per farmi capire quanto ci credeva, in me.

No, decisamente non sognavo di fare il beccamorto, anche perché è un mestiere infame, dove nessuno dei tuoi cari vorrebbe mai scroccare i tuoi servigi, a differenza di ciò che accade a odontoiatri, avvocati e ingegneri.

Me li ricordo bene, i miei sogni.

La veritá è che la musica, i libri, la campagna mi han bruciato tutto, dentro, quel che c'era da prima.

Me lo ricordo.

Come fosse ora, qui.

Non temevo il sole e ingenuamente pensavo che non si sarebbe spento mai, che avrebbe continuato ad innaffiare di caldi e gialli raggi le lucertole di tutto il mondo.

La veritá è che la morte mi ha salvato, insieme alle stelle.

Stelle e morte, come eros e tanatós, ma senza eros.

Una coccinella mi vola lieve nella mano.

È scesa dalla luna, immagino, e ho paura di farle involontariamente male.

Mi brilla davanti, è "come una lucciola, che nel fosto della notte vi brilla trasvolando da destra, indi vi apparisce a sinistra, dopo esservi passata davanti alla chetichella, rattenendo il palpito della sua luce fosforica".

Ecco, per me sognare è così, non posso trattenermi a lungo dal farlo più di quanto una lucciola possa rattenere il palpito della sua luce, per dirlo con parole di seconda mano.